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 Un nome a ogni nato: il diritto ad avere diritti

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 Un nome a ogni nato: il diritto ad avere diritti

Pubblichiamo l’intervento di Augusta De Piero proposto in apertura del seminario “I minori stranieri”  organizzato il 19 gennaio 2022 dalla Società Italiana di Medicina delle Migrazioni – Gruppo Immigrazione Salute del Friuli-Venezia-Giulia (GrIS fvg). L’incontro on-line è stato moderato da Guglielmo Pitzalis e Paolo Pischiutti, del GrIS fvg.


Augusta De Piero

Cari amici del GrIS vi sono molto grata per aver trovato spazio al mio intervento e ritengo significativo che l’evento di oggi sia accolto nel portale EQUAL- Il diritto antidiscriminatorio che apre l’Università di Udine al territorio con una precisa attenzione al contrasto delle discriminazioni.

Trovare voce nella stanza virtuale del Gruppo Immigrazione e salute del FVG mi riporta al 2008, in un momento che ha preceduto di poco la nascita del GrIS stesso.
Era in fase di preparazione quel coacervo di norme disparate che l’anno successivo sarebbe diventato legge [legge 94, come ben sapete] e venne notata un’incongruenza inaccettabile, anzi insopportabile. Se ne fece carico a livello nazionale la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri e impedì la formalizzazione della norma che avrebbe obbligato i medici del servizio sanitario a denunciare ogni paziente privo di permesso di soggiorno.
La certezza del Codice di deontologia medica bloccò quell’obbrobrio, ma il compianto dr. Luigi Conte, allora Presidente Provinciale dell’Ordine, fece qualche cosa di più, la cui modalità costituisce per me da allora una stella polare. Emanò infatti un comunicato pubblicato dalla stampa locale (e se ben ricordo anche citato dalla radio) .
Leggo: «il Medico non è un delatore e risponde all’obbligo deontologico di garantire assistenza a tutti “senza distinzioni di età, di sesso, di etnia, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia, in tempo di pace e in tempo di guerra, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera”» .

Non sarà difficile a ognuno di noi riconoscere in quanto ho appena letto il principio portante della nostra Costituzione, contenuto nell’art. 3, il principio di uguaglianza.
Era il 2008 e purtroppo avrei dovuto presto imparare che non esiste un codice deontologico altrettanto vincolante per la società civile.

Dal 2009, infatti, la legge italiana impone ai migranti non comunitari di esibire il permesso di soggiorno quando si rechino agli uffici dello stato civile per registrare la nascita di un figlio in Italia.
Quella registrazione è un atto dovuto nel rispetto del diritto di ogni nuovo nato, ma c’è il rischio che il comprensibile timore di essere scoperti possa indurre migranti irregolari a non registrare all’anagrafe i propri figli, facendone esseri senza nome, senza identità, senza diritti.  Fantasmi dal punto di vista giuridico.
Ricordiamo che tale norma è contenuta nel Testo Unico sulle Migrazioni (art. 6, secondo comma, d.lgs 268/1998).
L’obbligo a chiedere il titolo di soggiorno è attualmente aggirato da una circolare, interpretativa, che meglio potremmo definire “correttiva”, emanata dal Ministero dell’Interno.

Tuttavia, una modificazione della legge vigente è necessaria. Necessaria e dovuta nel rispetto del principio del superiore interesse del minore ma anche per la certezza della nostra democrazia. Se dovesse mancare l’atto di nascita, infatti, il bambino non risulterebbe esistere quale persona destinataria delle regole dell’ordinamento giuridico.
Il bambino straniero si dice, ma io qui dico il bambino senza aggettivi, perché chi nasce non è straniero, è semplicemente un nuovo essere sulla faccia della terra. Finché non sarà modificata la legge sulla cittadinanza, diventerà cittadino italiano se chi lo registra all’anagrafe come genitore è cittadino italiano, diventerà straniero se il genitore che lo registra all’anagrafe non è cittadino italiano.  Ma l’essere straniero non lo rende estraneo all’insieme dei diritti che gli appartengono come persona umana e segnatamente come bambino.
E proprio qui si colloca un pesante equivoco, probabilmente determinante nell’andamento tortuoso e iniquo di questo percorso. Infatti, lo sportello dell’anagrafe di ogni comune, il luogo deputato a farsi garante della libertà originaria, assicurata e protetta in tutto il percorso di una vita, può essere umiliato a luogo che provoca paura, a potere arbitrario, agito caso per caso quando la legge gli offra una occhiuta possibilità di minacciosa sorveglianza. C’è la circolare certo, ma non si può pretendere dalle persone migranti che conoscano confortanti circolari ministeriali. È necessario perciò che tanto si sappia nelle istituzioni, che lo sappiano operatori, utenti, i cittadini tutti.

Mi aspettavo, da parte dei comuni, una reazione pubblica di rivendicazione forte e condivisa perché solo in una consapevolezza comune si verificherà l’antico statuto per cui “l’aria della città rende liberi”. Invece, il rispetto della circolare 19 è avvenuto nel silenzio, non c’è stato il messaggio pubblico di un presidente Conte della società civile, ma ora sappiamo che a volte la circolare è stata tradita.
Quello che poteva essere un timore trova riscontro nella testimonianza del Presidente della Caritas Italiana che , a mia domanda, ha risposto – con trasparente e non consueta cortesia – proponendomi la considerazione del responsabile dell’Ufficio immigrazione della Caritas italiana. Il dr. Forti, questo il suo nome, ha scritto ribadendo l’iscrizione alla nascita come diritto costituzionalmente garantito ma testimoniando nel contempo il fatto che l’efficacia della circolare non è assoluta.
Leggo : “Ad oggi purtroppo non tutte la anagrafi seguono pedissequamente la citata circolare che stabilisce: Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto”.


E se oggi sperare in una modifica legislativa può essere un azzardo, su quell’azzardo dobbiamo saperci giocare tutto a qualsiasi costo. Per correttezza devo dire che esiste una proposta di legge (AC 3048, XVIII Legislatura) che risolverebbe il problema della ferita aperta con la legge 94 ma se non trova riscontro in una informazione diffusa e consapevole, che la renda più visibile nell’agenda parlamentare e condivisa nella società civile, è irrealistico pensare che possa essere approvata prima della fine della legislatura.
Non posso infatti ignorare che durante i suoi quasi 13 anni di vita la legge 94 ha galleggiato impudica senza che alcuna delle forze politiche presenti nelle variegate maggioranze che hanno sostenuto gli otto governi in carica del 2008 in qua se ne sentisse offesa, tanto da farsi efficacemente carico della necessaria modifica.
Quando finirà la XVIII legislatura anche il governo Draghi consegnerà al successore l’intatto portale dell’obbrobrio e l’interdizione all’esistenza di nati in Italia appartenenti alla categoria dei figli di migranti privi di permesso di soggiorno continuerà ad agire come una minaccia. Certo, in Italia ci sono associazioni sostenute dal buon volere sincero di molti che esplorano condizioni di disagio per porvi rimedio ma nel loro operare virtuoso è giusto sappiano che comunque ci sarà una categoria di piccole persone cui il loro impegno sarà per legge estraneo.
I bambini fantasma appunto.
L’indifferenza che riscontro nel presente non mi scoraggia dal dirmi come donna e come madre, madre che avendo naturalmente accolto ogni suo nato come figlio, viene a sapere che ad altre donne tanto è negato: senza identità quel piccolo venuto al mondo è un nessuno cui si negano anche le relazioni primarie, quindi la maternità documentata.
Occorre che si alzi una voce forte, chiara che pretenda l’ascolto oggi negato.

Non sarà la certezza del risultato a muovere quella voce, se si alzerà, ma il dovere di pronunciare parole che fanno paura a coloro che si ritrovano protetti solo dal privilegio e, mentre negano l’altrui libertà, promuovono l’arbitrio che potrebbe condannarci tutte e tutti.
Hanna Arendt ci ha ricordato che, nel ripetersi nello spazio viscoso dell’indifferenza, il male può farsi banale. Ce ne fa memoria la senatrice Segre che porta il numero impressole nella carne a disonore di chi cancellò il nome suo e di milioni d’altre donne e d’altri uomini anche bambini.
Non facciamoci complici del silenzio imposto per soffocare.