Vi parlo oggi di un progetto davvero interessante. Mi riferisco all’Orchestra dei braccianti. Dal sito ufficiale: La musica può essere un potente motore di integrazione e dialogo. Per questo Terra! ha dato vita all’Orchestra dei Braccianti, che mette insieme per la prima volta musicisti, contadini e lavoratori di varie nazionalità uniti dal legame con l’agricoltura. Le attività dell’Orchestra dei Braccianti sono sostenute dal Fondo di Beneficenza di Intesa Sanpaolo, dalla Fondazione Alta Mane Italia e con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese. L’Orchestra ha inoltre fatto parte di “Voci Migranti“, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Le attività concertistiche sono coordinate con il supporto di Low Fi Promotion.
Tramite le sue performance, l’Orchestra vuole sensibilizzare il pubblico sui temi del caporalato e dello sfruttamento lavorativo, oltre che offrire a donne e uomini, italiani e stranieri, una via di uscita da condizioni di indigenza e precarietà.
Per chi non la conoscesse, Terra! è una associazione ambientalista impegnata dal 2008 a livello locale, nazionale e internazionale in progetti e campagne sui temi dell’ambiente e dell’agricoltura ecologica. Lavora in rete con associazioni, comitati e organizzazioni della società civile per difendere le risorse naturali e promuovere un modello di sviluppo fondato sul rispetto degli ecosistemi.
Giulia Anita Bari è project manager dell’associazione Terra!. Cura il progetto dell’Orchestra dei Braccianti – di cui è anche violinista – e il progetto IN CAMPO! Senza caporale, un programma di formazione per lavoratori stranieri a rischio sfruttamento. Questa è l’intervista a Giulia.
Ho letto che combattere il caporalato con la musica è la missione con cui è nato il vostro progetto. Cosa possono fare davvero la musica e l’arte in generale contro piaghe come questa?
In questi anni abbiamo promosso ricerche e campagne sui temi dell’agricoltura e delle filiere alimentari per denunciare le cause dello sfruttamento del lavoro nei campi e l’insostenibilità di un’industria che troppo spesso produce povertà, segregazione e diseguaglianza. Con l’Orchestra dei braccianti vogliamo dare voce a chi subisce gli impatti sociali di un sistema iniquo, a chi vive nei ghetti, a chi si batte per i diritti dei lavoratori della terra.
Farlo attraverso l’arte significa poter raggiungere un pubblico generalista e rovesciare alcuni immaginari imposti che “scorporano” l’individuo dal suo essere “persona”. Se provieni dal continente africano probabilmente sarai riconosciuto prima di tutto come “straniero” – “extracomunitario”, fuori dalla comunità – e potrai accedere a lavori non più professionalizzanti della campagna. Ma questa ovviamente è una distorsione che annulla la storia, le competenze, i sogni, le capacità dell’individuo.
È interessante, anche dal punto di vista spaziale, rovesciare questa visione ponendo su un palco talenti musicali che vengono da paesi diversi e contesti complessi. In quella posizione “dominante” – in cui sei riconosciuto come artista e non come “extra” qualcosa – la tua denuncia rispetto a ciò che accade nelle campagne acquisisce una forza penetrativa diversa nelle persone.
In che modo il legame con la terra riesce a fare da collante nell’eterogenea orchestra, malgrado le differenze? E quanto può risultare efficace, in generale, tra tutti noi nella vita quotidiana?
I protagonisti dell’Orchestra sono persone che lavorano o hanno lavorato la terra, che hanno vissuto nei ghetti o ne conoscono da vicino le complessità. Sono lavoratori italiani e stranieri, professionisti del settore musicale o talenti che ancora oggi lavorano, oltre che con la musica, nel settore agricolo. I paesi di provenienza sono Senegal, Gambia, Nigeria, India, Italia. Ma si pensi che solo dentro la sola parola “Italia”ci sono cinque regioni diverse: Abruzzo, Basilicata, Campania, Veneto, Lazio. Oltre alle diverse origini geografiche c’è poi il mondo interiore di ognuno: diverse sensibilità, gusti musicali, creatività individuali. È quindi necessario “accordarsi” cercando di ascoltare e valorizzare capacità e intuizioni musicali di ognuno. E, ancor di più, cercare di far parlare linguaggi musicali differenti. L’idea per cui la musica sia un “linguaggio universale” andrebbe approfondita: la musica è un insieme di centinaia di linguaggi molto diversi, di sistemi armonici, ritmici, melodici “stranieri” tra loro. Non è detto che un percussionista italiano, ad esempio, conosca le variegate dimensioni ritmiche indiane. Suonare insieme significa, quindi, accogliere e ascoltare queste differenze. Perché è quella differenza a rendere speciale, interessante, strano o innovativo un pezzo musicale. L’orecchio che ascolta, spesso inconsapevole di ciò che tecnicamente accade in un brano o le sue variegate origini geografiche, ne riconosce la bellezza proprio in nome di quella diversità. In questo sta l’universalità del messaggio musicale: accogliere la diversità senza pregiudizi ma, anzi, attribuendole un valore positivo.
Si legge che tra i membri dell’orchestra vi sono giovani che hanno vissuto sulla propria pelle il dramma della migrazione e del lavoro nei ghetti delle nostre campagne. Cosa vuol dire per loro far parte di un progetto come questo?
In questo primo anno di vita l’orchestra ha iniziato a mettere in luce le sue potenzialità, qualificandosi come strumento in grado di agire quale motore di cambiamento verso l’interno e verso l’estero. L’Orchestra è uno spazio di auto consapevolezza e narrazione della propria esperienza nonché, attraverso le relazioni tra i suoi membri e i concerti in giro per l’Italia, di conoscenza di nuovi territori e persone. L’Orchestra è ovviamente poi luogo di professionalizzazione e di produzione: grazie al supporto di un’agenzia di booking che ha creduto nel progetto e tutt’oggi lo sostiene, l’orchestra è riuscita (prima della crisi sanitaria) a garantire circa due concerti al mese ai suoi partecipanti. Affinché i musicisti vengano retribuiti attraverso modalità regolari, gli stessi sono parte di due importanti cooperative specifiche per i lavoratori dello spettacolo (Smart e Doc), le quali provvedono ogni mese ad inviare agli stessi le buste paga relative ai concerti svolti. La possibilità di avere una busta risulta peraltro di estrema importanza per i musicisti non italiani ai fini del rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno.
In generale, che tipo di risposta c’è stata, finora, dagli ambienti di settore di fronte alla vostra iniziativa? E come ha reagito il mondo dell’industria agricola?
La risposta del pubblico è emozionante. La scorsa estate abbiamo suonato l’ultima sera della Notte della Taranta: 150mila persone ballavano dei brani scritti da dei braccianti. Straordinario. Fra qualche mese usciremo con il nostro primo singolo e chissà se riusciremo a smuovere l’industria agricola anche con la musica, oltre che con le nostre Campagne e denunce.
Avete trovato difficoltà e pericoli nel diffondere la vostra lodevole denuncia delle cause che portano allo sfruttamento dei braccianti?
No. Forse qualche naso storto, ma direi che di pericoli non ne abbiamo incontrati.
In generale, cosa pensate del ruolo e dell’impegno degli artisti del nostro paese riguardo a tematiche sociali come quella di cui vi state occupando? Si sta facendo abbastanza o si potrebbe osare di più?
In generale mi sembra che i musicisti – dai più acclamati ai meno famosi – si mettano più o meno sempre a disposizione per supportare le associazioni nelle loro battaglie o denunciare ciò che accade. Forse sarebbe prioritario, al pari delle nostre battaglie in ambito agricolo, fare una seria riflessione sulle dilaganti pratiche di lavoro nero nell’ambito musicale.
La pandemia, tra le molte disastrose conseguenze, ha portato anche a interrompere o rallentare progetti di natura artistica e sociale, anche se ho visto sul vostro sito che non vi ha fermati del tutto, anzi. Cosa avete in progetto per quando, si spera, saremo tornati a una situazione più favorevole?
La nostra speranza, come quella di molte altre realtà, è di poter riprendere a pieno le attività rimaste in sospeso e sperare che nel sociale e nella cultura ci siano degli investimenti seri che possano dare a tutti la possibilità di costruire una visione comune più lungimirante e giusta. Per i concerti, ad oggi tutti cancellati, bisognerà ancora aspettare.
Alessandro Ghebreigziabiher