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IL CERTIFICATO DI NASCITA NEGATO. Una riflessione di Francesco Bilotta, università di Udine

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IL CERTIFICATO DI NASCITA NEGATO. Una riflessione di Francesco Bilotta, università di Udine

IL CERTIFICATO DI NASCITA NEGATO. La Costituzione qualifica il nostro come uno stato di diritto e uno stato sociale. Infatti, allo stesso tempo assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e organizza la collettività in modo che sia assicurato il benessere delle persone. Arriviamo alla stessa conclusione se consideriamo l’insieme delle Convenzioni internazionali che l’Italia ha sottoscritto nel secondo dopo guerra.

 

A questa premessa si aggiunga che le Nazioni unite hanno redatto un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, tra cui il nostro, che va sotto il nome di Agenda 2030. Tale programma individua 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile e fa del rispetto dei diritti fondamentali una delle condizioni per tale sviluppo, poiché reputa necessario che si diffonda la capacità di vivere in maniera dignitosa ed equa per chiunque.

Dal punto di vista del diritto, vivere in maniera dignitosa ed equa presuppone essere riconosciuti prima come “soggetti di diritto” e quindi titolari di diritti e di doveri. Il nostro Codice civile – entrato in vigore nel 1942, in un contesto sociale completamente diverso dal nostro – considera sufficiente essere nati per divenire astrattamente titolari di diritti e di doveri. Eppure, per esperienza sappiamo che la documentazione di quel fatto (“essere nati”) è imprescindibile per il godimento di quei diritti e condiziona tutta la nostra vita.

Senza passare dall’anagrafe non esistiamo per lo Stato italiano. Quante domande abbiamo compilato per le quali ci è stato chiesto il certificato (o almeno l’autocertificazione) dei nostri dati anagrafici? Tutti i servizi di sostegno alla persona si fondano sulla premessa che si possa rintracciare una certa persona e si possa verificare quali siano i suoi bisogni. Tuttavia, senza la certificazione della sua nascita, non si può neppure sapere che quella persona esista. Senza chiarire questi passaggi non si può capire fino in fondo l’urgenza di rendere consapevoli quante più persone possibili della trappola giuridica in cui rischiano di cadere i bambini, figli di migranti privi di permesso di soggiorno.

Nel 2009, la legge n. 94 (c.d. “pacchetto sicurezza”) ha modificato l’art. 6 del Testo Unico sull’Immigrazione. Il testo così modificato, se interpretato restrittivamente, impedisce la registrazione alla nascita ovvero il riconoscimento del figlio naturale di cittadini stranieri irregolari, perché si pretende che i genitori presentino il permesso di soggiorno nel momento in cui entrano nell’ufficio dell’anagrafe.

Da anni ormai si chiede che venga modificato l’articolo in questione e che l’obbligo di esibizione del permesso di soggiorno non si applichi alla dichiarazione di nascita ed al riconoscimento del figlio naturale. Invece, al posto di modificare la legge, sono state emanate alcune circolari interpretative da parte del Ministero dell’interno, che sovrintende ai Servizi anagrafici.

La conseguenza di questo stato di cose è che, in mancanza di una norma chiara, quelle circolari non hanno la forza di arginare l’eventuale arbitrio del funzionario di turno. In tal modo, i migranti irregolari, per non rischiare l’espulsione o altre forme di grave penalizzazione, sono spinti a non recarsi all’anagrafe per denunciare la nascita dei loro figli.

La condizione di bambine e bambini, che pur nati in Italia, sono giuridicamente inesistenti, contrasta con una cultura inclusiva dei diritti, prima ancora che con l’Agenda 2030, il cui sedicesimo obiettivo si propone di fornire l’accesso universale alla giustizia, e di costruire istituzioni responsabili ed efficaci a tutti i livelli.

Esporre dei bambini al pericolo di essere privati del riconoscimento e del godimento di diritti fondamentali quali l’istruzione o la salute – solo per ricordarne alcuni – perché una norma è scritta male, contrasta con la Costituzione italiana e con gli obblighi internazionali dell’Italia di proteggere i diritti fondamentali di ogni persona.

Prof. Avv. Francesco Bilotta – docente di diritto privato e diritto antidiscriminatorio, Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Udine. Coordinatore del portale di informazione giuridica Equal – Il diritto antidiscriminatorio.