Una lunga analisi di Gianfranco Schiavone (ICS – Ufficio rifugiati) sulle riforme di Schengen proposte dall’Unione Europea.
Con l’escamotage della “strumentalizzazione dei migranti”, il nuovo regolamento proposto dalla commissione per la gestione delle frontiere esterne deroga a principi e garanzie, smantellando di fatto il diritto di asilo.
Il lungo articolo è uscito in due parti su Il Riformista il 30 dicembre 2021 e il 4 gennaio 2022.
I trucchetti dell’Europa per cancellare i profughi
Il 14.12.2021 la Commissione UE ha depositato contemporaneamente due proposte di riforma normative annunciando l’intenzione di “rinforzare la governance dello spazio Schengen”.
Il primo testo (COM (2021 891 final) consiste in una proposta di modifica dell’attuale Regolamento 2016/399 ovvero il Codice Schengen, uno dei pilastri dell’assetto attuale della vita sociale e politica dell’Unione. Secondo la Commissione le nuove regole “mirano a garantire che la reintroduzione dei controlli alle frontiere interne rimanga una misura di ultima istanza” nonché a creare “strumenti comuni per gestire più efficacemente le frontiere esterne in caso di crisi di salute pubblica, utilizzando le lezioni apprese dalla pandemia COVID-19”. Con il secondo testo (COM 2021 890 final) la Commissione propone invece di introdurre un Regolamento del tutto nuovo finalizzato a “gestire efficacemente le frontiere esterne dell’UE nel caso in cui i migranti siano usati per scopi politici”. Se entrambe le proposte di Regolamento fossero approvate gli effetti in materia di libera circolazione, diritti fondamentali e diritto d’asilo nell’Unione sarebbero enormi e, ad avviso di chi scrive, profondamente negativi tanto da configurare un’Europa diversa e molto peggiore di quella attuale. Le notizie comparse sulla stampa italiana sono state finora poche e piuttosto confuse e quindi tenterò di fornire al lettore alcuni strumenti di analisi che consentano una lettura più attenta. E’ impossibile esaminare, anche solo per cenni, entrambe le proposte in un unico articolo, ragione per cui in questa prima parte tratterò solo della proposta della Commissione relativa alla “situazione di strumentalizzazione dei migranti” e nel successivo articolo seguirà un’analisi delle proposte di riforma del Codice Schengen.
La “situazione di strumentalizzazione dei migranti” è definita nella proposta della Commissione come “una situazione in cui un paese terzo istiga flussi migratori irregolari verso l’Unione incoraggiando attivamente o facilitando lo spostamento di cittadini di paesi terzi verso le frontiere esterne, verso o dall’interno del suo territorio e poi verso tali frontiere esterne, quando tali azioni sono indicative dell’intenzione di un paese terzo di destabilizzare l’Unione o uno Stato membro, quando la natura di tali azioni può mettere a rischio funzioni essenziali dello Stato, compresa l’integrità territoriale, il mantenimento dell’ordine pubblico o la salvaguardia della sua sicurezza nazionale” . Si può agevolmente vedere come la sopraccitata definizione, dai contorni alquanto indefiniti abbia una natura politica o sociologica non idonea a circoscrivere una fattispecie normativa perché priva del requisito di tassatività, ovvero di quella chiara definizione e delimitazione concettuale che deve stare alla base di qualunque norma. Una situazione politica nella quale dei cittadini di paesi terzi vengano spinti da un paese terzo ad entrare nella UE allo scopo di destabilizzazione politica è certo uno scenario socio-politico che il Legislatore europeo può considerare nuovo e pericoloso ma se, oltre al piano dell’azione diplomatica intende agire anche su modifiche normative in materia di diritti fondamentali deve individuare fattispecie giuridiche precise ed oggettive, a partire dalla distinzioni tra le condizioni giuridiche soggettive diverse tra rifugiati e migranti per altre ragioni e all’esistenza ad esempio di un numero di domande di asilo estremamente elevato in rapporto al Paese in cui l’evento si verifica e al periodo temporale considerato, oppure ancora il fatto che le domande di asilo in un dato contesto sono tutte o quasi presentate da cittadini di uno o più Paesi terzi il cui tasso di riconoscimento delle domande di protezione è molto basso. Nel tentare in ogni modo di introdurre la nuova indefinita nozione di situazione di strumentalizzazione dei migranti la Commissione invece non fa mai alcun riferimento né a numeri elevati né tanto meno alla condizione giuridica delle persone coinvolte/strumentalizzate le quali scompaiono dall’orizzonte del discorso come fossero tutti una indistinta massa minacciosa. La Commissione sa bene, anche se finge di non saperlo, che le problematiche giuridiche di come gestire arrivi massicci in un contesto di strumentalizzazione dei migranti da parte di un Paese terzo (ugualmente come in altri contesti di crisi le cui cause possono essere le più diverse) sono oggetto di una già esistente proposta di Regolamento dell’Unione per la gestione delle situazioni di crisi (COM(2020) 0613); si tratta di un testo in discussione al Parlamento Europeo che nella interessante e lucida proposta del relatore J.F. Lopez Aguillar prevede una procedura attivabile allorquando “un afflusso massiccio di persone che attraversano la frontiera in modo irregolare, o che seguono programmi di evacuazione, in un breve periodo di tempo può portare ad una situazione di crisi in un particolare Stato membro”. Tale “situazione di crisi potrebbe anche essere innescata quando circostanze eccezionali che sfuggono al Stato membro mettono a repentaglio la fattibilità possibilità per lo Stato membro di adempiere ai suoi obblighi ai sensi del del diritto dell’Unione in materia di asilo e migrazione”. La stessa proposta prevede altresì l’attuazione di procedure finalizzate ad accelerare l’esame delle domande di asilo che appaiono già prima facie fondate e soprattutto l’attivazione di un meccanismo obbligatorio di rapida redistribuzione dei richiedenti asilo tra gli Stati della UE per evitare che lo Stato di primo ingresso dove si è verificata la situazione di crisi sopporti un onere eccessivo. Perché dunque elaborare una proposta ex novo del tutto vaga e che non appare affatto necessaria? La Commissione ha in mente quanto avvenuto in Polonia e sa bene che si è trattato di una gigantesca crisi umanitaria e morale che si è verificata tuttavia senza che vi fosse alcuna emergenza reale in atto nel senso che le poche migliaia di disperati (quasi tutte persone in chiaro bisogno di protezione) che la Bielorussia ha cinicamente strumentalizzato contro la Polonia avrebbero potuto essere accolte in Polonia senza rendere necessario neppure un piano di redistribuzione in altri paesi UE. Il problema politico era evidente ed acuto ma la gestione sul campo del diritto d’asilo non consentiva in alcun modo di attuare da parte di un Paese UE le misure violentissime che ha messo in atto. Invece di constatare le incredibili violazioni della legalità di cui si è reso responsabile il governo polacco e di cui ho parlato su queste pagine il giorno …. e di prendere misure adeguate affinché un simile livello di illegalità e di inaudita violenza non si ripeta mai più in Europa, la Commissione fa esattamente l’opposto quasi cogliendo l’occasione che attendeva per avanzare, con enfasi ideologica, proposte nelle quali ci si finalmente libera di paletti, procedure e dati oggettivi e introducendo al loro posto dei non-concetti giuridici privi di alcuna reale pregnanza ma utilissimi ad essere utilizzati in ogni momento e circostanza a seconda della volontà politica del momento.
Basteranno anche pochi e vacui argomenti per invocare l’esistenza di una “situazione di strumentalizzazione dei migranti” (sottolineo l’uso di questa categorizzazione indistinta), da parte di uno Stato terzo verso uno Stato membro per permettere a quest’ultimo di derogare quasi a tutte le fondamentali leggi vigenti nell’Unione in materia di asilo; in primo luogo potrà registrare le domande di asilo in deroga ai tempi oggi imposti dalla Direttiva procedure arrivando fino a quattro settimane dopo il loro arrivo (quale trattamento sarà riservato ai richiedenti fino a qual momento?) ma soprattutto potrà decidere “alle frontiere o zone di transito sull’ammissibilità e sul merito di tutte le domande registrate” in deroga generale alle garanzie oggi previste dal diritto dell’Unione. Nell’attesa (che potrà protrarsi per 4 mesi) l’accoglienza del richiedente asilo può avvenire in generale deroga delle norme vigenti previste dalla Direttiva Accoglienza limitandosi al solo vitto e ricovero d’emergenza anche in ragione del fatto che il richiedente asilo non è autorizzato ad entrare nel territorio dello Stato (anche se di fatto vi è già) utilizzando la cosiddetta finzione di non ingresso, uno stratagemma concettuale perverso ma geniale grazie al quale, in caso di domanda di asilo respinta, lo straniero potrà essere rapidamente allontanato come colui che è rimasto al di là della frontiera, aggirando in tal modo persino le procedure e le garanzie, già minime, previste dalla vecchia Direttiva 115/2008/CE (rimpatri). Questo stato di quasi-sospensione del diritto d’asilo che può protrarsi per sei mesi rinnovabili di altri sei, e che può essere riproposto un numero indefinito di volte, non richiede, lo voglio sottolineare ancora una volta, l’esistenza di alcuna oggettiva e verificabile situazione di gravissima emergenza che impedisce oggettivamente la possibilità, per lo Stato membro, di gestire in modo ordinato la situazione che si è creata. Né tanto meno le misure sarebbero applicate sulla base della fondatezza delle domande di asilo; la Commissione richiede solo con una espressione generica che lo Stato membro esamini “in via prioritaria le domande di protezione internazionale probabilmente fondate e quelle presentate da minori non accompagnati e da minori e loro familiari” assoggettandole comunque, tutte, allo stesso regime derogatorio dei diritti e delle garanzie. L’assoluta indeterminatezza delle ragioni che possono essere poste a fondamento della richiesta di attivare la procedura speciale in ragione di una “situazione di strumentalizzazione dei migranti” svuota di contenuto anche la flebile procedura attraverso la quale “il Consiglio valuta la proposta [avanzata dallo Stato membro]con urgenza e adotta una decisione di esecuzione che autorizza lo Stato membro interessato ad applicare le deroghe specifiche” senza che il Parlamento Europeo abbia alcun ruolo. Una semplice intesa politica tra Stati permetterebbe dunque di comprimere con un’intensità mai concepita prima d’ora uno dei diritti inalienabili su cui si fonda l’Unione Europea, il diritto d’asilo. Un’intesa, quella richiesta tra stato proponente e Consiglio, facile da raggiungere dal momento che in caso di approvazione delle misure speciali quasi nulla sarebbero chiamati a fare gli altri Stati membri in termini di condivisione di azioni di solidarietà e condivisione delle responsabilità salvo sostenere economicamente “misure di potenziamento delle capacità [dello Stato membro coinvolto] in materia di asilo, accoglienza e rimpatrio”. In modo totalmente difforme da quanto richiesto dal relatore nella citata proposta di Regolamento di gestione delle situazioni di crisi, la Commissione neppure menziona nella sua proposta la possibilità di una redistribuzione, neppure volontaria, dei richiedenti asilo, tra gli Stati membri.
La caratteristica peculiare del diritto d’asilo come si è evoluto nell’età contemporanea è che esso è passato da una mera concessione da parte del Sovrano di turno a un diritto dell’individuo che le autorità sono solo chiamate a riconoscere, o a motivatamente rifiutare, sulla base di criteri giuridici predefiniti. L’estrema e sconcertante proposta dell’attuale Commissione Europea sembra guardare invece a una concezione pre-moderna nella quale il diritto d’asilo non è legato alla condizione della persona ma è determinato dalle circostanze nelle quali la domanda di protezione è stata presentata. Così che, se essa cade nel momento in cui è in atto uno scontro politico internazionale (tale infatti sarebbe l’invocata situazione di strumentalizzazione dei migranti) il suo diritto può indebolirsi o persino sparire.
Altro che Europa casa comune: l’UE prepara la caccia ai migranti
Le proposte avanzate dalla Commissione trasformano in prassi le riammissioni dei profughi, che si troveranno respinti di frontiera in frontiera in un grande gioco dell’oca finalizzato a contraddire la libera circolazione e a negare il diritto di asilo.
Dopo avere preso in considerazioni le proposte della Commissione sulle cosiddette “situazioni di strumentalizzazione dei migranti” (vedi edizione del 30.12.21) esaminiamo dunque in questa seconda parte la proposta di Regolamento (COM 2021(891 final) con la quale la Commissione propone una revisione del Codice Frontiere Schengen ovvero del Regolamento (EU) 2016/399. Ad avviso della Commissione “negli ultimi anni, lo spazio Schengen è stato oggetto di sfide senza precedenti, che per loro natura non erano limitate al territorio di un singolo Stato membro”. La Commissione ritiene che vi siano delle “lacune delle norme esistenti che disciplinano il funzionamento dello spazio Schengen sia alle frontiere esterne che a quelle interne e [propone] di creare un quadro più forte e solido che consenta una risposta più efficace alle sfide che lo spazio Schengen deve affrontare” . Le principali proposte avanzate dalla Commissione riguardano proprio l’ambito più delicato della tenuta del sistema Schengen, quello delle frontiere interne e avanza un primo gruppo di misure collegandole alla pandemia di COVID-19 con il ragionevole obiettivo di evitare che si ripeta in futuro l’attuale scomposto muoversi da parte dei singoli Stati con misure non sempre giustificate dall’obiettivo reale di contrastare l’epidemia bensì legate a volubili interessi politici. Propone dunque che “il Consiglio, sulla base di una proposta della Commissione, [possa] adottare un regolamento di applicazione che prevede restrizioni temporanee ai viaggi negli Stati membri” individuando le aree geografiche sulla base di “ metodologie e criteri oggettivi”. Introdurre delle integrazioni all’attuale Codice frontiere Schengen per gestire meglio il possibile riproporsi di emergenze sanitarie è pienamente condivisibile ma la Commissione coglie l’occasione per accostare al tema della pandemia un altro campo di suo ben maggiore interesse affermando perentoriamente, pur senza mai motivarne la ragione, che “per rafforzare il funzionamento dello spazio Schengen, gli Stati membri dovrebbero poter adottare misure supplementari per contrastare i movimenti irregolari tra Stati membri e combattere i soggiorni illegali”. In che modo farlo è presto detto: “quando le autorità nazionali incaricate dell’applicazione della legge di uno Stato membro fermano cittadini di paesi terzi in soggiorno illegale alle frontiere interne nell’ambito della cooperazione operativa di polizia transfrontaliera, tali autorità dovrebbero avere la possibilità di rifiutare a tali persone il diritto di entrare o rimanere nel loro territorio e di trasferirle nello Stato membro da cui sono entrate”. Le riammissioni si applicherebbero “al fermo di un cittadino di un paese terzo in prossimità delle frontiere interne” in particolare se l’operazione è avvenuta “durante pattugliamenti congiunti di polizia”. La Commissione punta quindi a una vera e propria rinascita degli accordi di riammissioni tra Stati UE quali strumenti ordinari, anzi privilegiati, per individuare, alle frontiere interne, gli stranieri in posizione irregolare e, dopo avere loro notificato la decisione, rinviarli, con procedura immediatamente esecutiva, nello stato membro da cui provenivano che dovrebbe occuparsi del loro rimpatrio. Nell’evoluzione del diritto europeo le riammissioni degli stranieri irregolari tra Stati membri confinanti erano divenute residuali perché non coerenti con il percorso di eliminazione delle frontiere interne e con la libera circolazione nello spazio comune; già la Direttiva 2008/115/CE (Direttiva Rimpatri), tuttora vigente (e che la Commissione vuole infatti modificare) salva infatti gli accordi di riammissione tra Stati solo se precedenti al 2008; nell’ottica della costruzione della casa comune europea priva di frontiere interne non ha rilevanza che la persona straniera in condizioni di soggiorno irregolare venga fermata all’interno del territorio di uno Stato membro o nei pressi di una sua frontiera interna perché vanno applicate comunque, in ogni luogo, le medesime disposizioni, attuando, se necessario, l’espulsione dal comune spazio europeo, fatte salve le garanzie previste dalla stessa Direttiva Rimpatri e il rispetto dei diritti fondamentali, ed in particolare il diritto d’asilo. Ritorno delle riammissioni e mantenimento della libera circolazione alle frontiere interne sono, con evidenza, strade tra loro alternative che rispecchiano visioni politiche e culturali antitetiche. Puntare, come fa l’attuale Commissione, a individuare nelle riammissioni il nuovo e insieme vecchio strumento su cui puntare per contrastare i cosiddetti movimenti secondari degli irregolari significa proporre surrettiziamente il ritorno delle frontiere interne. Eppure la libera circolazione dentro la UE è stata un’enorme conquista storica oggi considerata da tutti come irrinunciabile. In materia la Corte di Giustizia dell’UE si è più volte pronunciata ritenendo incompatibile con il vigente diritto dell’Unione alcune normative nazionali che autorizzavano un largo uso dei controlli alla frontiera interna allo scopo di prevenire o impedire l’ingresso o il soggiorno irregolari degli stranieri nel territorio di uno Stato membro se tali norme producevano, in concreto, un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera. Oggi la Commissione propone quindi nientemeno che una drastica retromarcia nell’evoluzione del diritto dell’Unione (e quindi di tutta la nostra storia recente) proponendo che “ l’esercizio da parte delle autorità competenti delle loro competenze non può, in particolare, essere considerato equivalente all’esercizio delle verifiche di frontiera quando le misure [….] mirano, in particolare, a […] combattere il soggiorno o la permanenza irregolare legati alla migrazione irregolare. La Commissione si progressivamente inabissa in un triste contorsionismo logico, i cui dettagli risparmio al lettore, tra la volontà di attuare controlli che si vorrebbero di fatto sistematici e continui alle frontiere interne per individuare gli stranieri irregolari, anche ricorrendo in modo massiccio “a tecnologie di monitoraggio e sorveglianza”, e nello stesso tempo il tentativo di non attuare, alle stesse frontiere interne, controlli con caratteristiche continuità e sistematicità tali da ostacolare il principio della libera circolazione. Una sintesi impossibile tra un obiettivo e il suo contrario. La temeraria rinascita delle riammissioni riguarderebbe anche gli stranieri che chiedono asilo? Proprio sul punto più delicato e scivoloso il testo proposto dalla Commissione tace del tutto. Nessun accordo di riammissione è possibile nei confronti di uno straniero che chiede asilo perché la sua domanda va registrata subito, al confine o nel territorio dello stato membro nel quale viene manifestata la richiesta di protezione, e l’individuazione dello Stato competente a esaminare la domanda di asilo, se diverso da quello in cui la domanda è stata fatta, è di competenza di un’apposita normativa, il Regolamento Dublino III oggetto anch’esso di molte tormentate proposte di riforma. Da tempo il piano della legalità è però già stato violato, e in modo sistematico, da molti stati dell’Unione, tra cui l’Italia, che hanno usato a mani basse lo strumento delle riammissioni, persino quando non esistevano neppure accordi inter-statali a copertura di tali prassi, proprio con lo scopo di liberarsi dei richiedenti asilo e scaricarli allo stato membro vicino; lo hanno fatto a volte in (parziale) contrasto tra loro, come nel caso Francia-Italia; altre volte invece in piena sintonia, attuando riammissioni illegali “a catena” come nel caso Italia (e Austria) – Slovenia – Croazia, così che tutti gli stati coinvolti, in sodalizio illegale tra loro, si liberavano dei rifugiati respingendoli fuori dall’Unione (Bosnia). Al confine italiano le riammissioni illegali sono state bloccate ma continua l’operato di “pattuglie di polizia miste italo-slovene” dal mandato opaco. Non è quindi per nulla azzardato ritenere che scopo precipuo, anche se nascosto, della proposta di rinascita delle riammissioni sia proprio quello di aiutare gli Stati a disfarsi dei richiedenti asilo facendo in modo che essi, riammessi/respinti di confine in confine non accedano mai alla procedura di richiesta di protezione internazionale in nessuno stato dell’Unione.
Infine nella parte della propria proposta destinata a una nuova regolazione del temporaneo ripristino effettivo delle frontiere interne la Commissione insiste sul fatto che tali misure, se assunte dai singoli Stati, vengano considerate quale “ultima istanza” e tenta una forte riduzione dei tempi massimi di chiusura che gli Stati possono attuare in autonomia, vincolando maggiormente gli Stati a motivare e impone tempi e modalità di notifica. La Commissione propone infine di rafforzare le sue competenze prevedendo che in caso di “minaccia grave per la sicurezza interna o l’ordine pubblico [che] colpisce la maggioranza degli Stati membri, mettendo a repentaglio il funzionamento globale dello spazio senza frontiere interne” essa stessa possa “presentare al Consiglio una proposta per l’adozione di una decisione di esecuzione che autorizzi il ripristino dei controlli di frontiera da parte degli Stati membri.” Si può intravedere in queste proposte l’intenzione di circoscrivere le ipotesi di ripristino delle frontiere interne a casi veramente eccezionali e dunque contenere una tendenza disgregativa che negli ultimi anni ha assunto connotati assai pericolosi. Tuttavia il tentativo mi sembra debole e poco credibile perché nello stesso tempo la Commissione considera motivo sufficiente per il ripristino autonomo dei controlli alle proprie frontiere interne da parte di uno Stato “ una situazione caratterizzata da movimenti non autorizzati su vasta scala di cittadini di paesi terzi tra gli Stati membri, che mette a rischio il funzionamento globale dello spazio senza controllo alle frontiere interne” usando una formulazione vaga ma utile a essere usata pressoché a piacimento dai singoli Stati. La Commissione dovrebbe interrogarsi sulle ragioni dei forti movimenti degli stranieri (sia quelli irregolari che di quelli regolari ma il cui diritto al soggiorno vale in un solo stato) tra i diversi paesi dell’Unione e semmai porsi l’obiettivo di come iniziare ad armonizzare le divergenti politiche di ingresso e soggiorno nonché gli standard di accoglienza ed integrazione. Invece nulla di tutto ciò è nel suo orizzonte mentre il contrasto ai movimenti degli stranieri rimane l’unica ossessione da inseguire. A qualunque costo.
In allegato le due parti dell’articolo