Organizzato da Rivolti ai Balcani, dal Centro Ernesto Balducci, dalla Rete DASI, in collaborazione con l’associazione Articolo 21, che si terrà sia
in presenza e online al Centro Balducci di Zugliano (UD) sabato 7 e domenica 8 maggio 2022.
I lavori del convegno si terranno in lingua italiana ed inglese con traduzione simultanea.
Per partecipare ai lavori (anche nel caso di partecipazione online) è necessario iscriversi attraverso il seguente link
https://forms.gle/ enKHTrTXQqwerPGQ8
L’allestimento dei campi viene in genere presentato come una necessità dettata dall’esistenza di un contesto emergenziale ma quasi mai c’è alcuna reale situazione emergenziale che giustifichi le scelte fatte.
Le strutture di accoglienza/confinamento sono volutamente collocate in aree estremamente periferiche giustificando anche tale scelta con vaghe ragioni di sicurezza o come una necessità imposta da molteplici ragioni e condizionamenti esterni anche quando non ve ne sono affatto o quando le difficoltà potrebbero essere superate.
Nel caso un isolamento marcato non sia possibile o lo sia solo in parte, esso viene creato limitando ogni forma di contatto possibile delle persone “accolte” con l’esterno, ricorrendo a forme di detenzione basate su presupposti giuridici o più diffusamente sulla base di prassi e situazioni di fatto, così che la percezione dei campi, da parte della società circostante, sia quella di un luogo pericoloso abitato da persone da evitare.
Nonostante siano basati su un approccio emergenziale, dunque quali realtà transitorie, questi, una volta allestiti, appaiono immobili; il decorrere del tempo non produce alcun miglioramento nelle condizioni materiali interne perché, anche in caso di presenze ridotte, ogni campo deve rimanere al più basso livello di servizi possibile allo scopo di produrre condizioni di vita che sul lungo periodo sono intollerabili.
I campi, sia nel loro allestimento sia nella loro gestione (spesso fortemente militarizzata) drenano risorse economiche elevate anche se non producono alcuna positiva ricaduta sul territorio ove si trovano, né si produce una crescita del sistema di accoglienza del Paese che ospita tali strutture; la gestione economica dei servizi interni ai campi si concentra spesso nelle mani di pochi soggetti.
I campi di confinamento come sopra brevemente descritti sono strumento indispensabile di attuazione delle politiche di “esternalizzazione” dell’Unione europea e quindi sorgono nei Paesi esterni all’Ue e prevalentemente nei Paesi ad essa confinanti.
Tuttavia analizzando le scelte attuate dall’Unione per la gestione delle domande di asilo nei Paesi di primo ingresso emerge come l’Ue stia spingendo per la realizzazione di strutture di accoglienza da erigere in aree considerate periferiche ovvero in Paesi considerati “cuscinetto” o marginali che condividono molte delle caratteristiche peculiari dei campi di confinamento. Non essendo tuttavia possibile, in questo caso, lasciare indefinita del tutto la condizione giuridica degli “accolti” la procedura di esame delle domande di asilo delle persone presenti in tali strutture avviene secondo modalità iper-accelerate e con le minime garanzie procedurali possibili. In particolare, attraverso la finzione giuridica del “non ingresso”, il migrante forzato anche se presente fisicamente dentro l’Unione europea, giuridicamente ne rimane al di fuori e alla fine del procedimento, se la domanda di protezione è rigettata, la persona può essere allontanata con modalità quasi del tutto prive di adeguate garanzie.
Obiettivo generale del convegno organizzato è dunque quello di proporre una nuova chiave di lettura
delle pericolose politiche messe in atto dall’Unione europea verso le migrazioni, specie quelle forzate. Ciò senza proporre alcun paragone, che sarebbe improprio, con le tragedie dei campi di concentramento che hanno caratterizzato la storia del Novecento ma anche senza sottovalutare la gravità della situazione attuale caratterizzata da gravissime ed estese violazioni dei diritti umani fondamentali dei migranti e dei rifugiati.