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Trieste e la lotta contro le discriminazioni sanitarie: il razzismo ai tempi del Covid19

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Trieste e la lotta contro le discriminazioni sanitarie: il razzismo ai tempi del Covid19

E’ arrivato quello che da tempo ci si aspettava: casi positivi tra i migranti nelle strutture in quarantena a Trieste. E, ancor più scontato, l’uso mediatico che si cerca di fare di questa notizia.

Qui, come altrove in Italia, si disegna la figura del migrante untore: il fine è, come in passato, alimentare odio e razzismo, questa volta utilizzando la distorta e falsa maschera della salute collettiva.

Ogni ragionamento ed analisi è fittizia e tendenziosa se non si parte da due concetti base di salute pubblica: la pandemia è globale, tutti/e siamo a rischio e possiamo rappresentare un rischio per le altre persone; ma la distribuzione di malattia, così come della salute, è fortemente influenzata da fattori economici, sociali e politici. Nel caso specifico della pandemia, questo concetto si traduce nel fatto che i diversi componenti della società non hanno uguali livelli di esposizione né le stesse possibilità di mettere in campo azioni personali/collettive per proteggersi, con conseguenti ricadute sulla collettività.

Nonostante lo sbandierato focus sulla salute pubblica a cui abbiamo assistito nei mesi passati, questi concetti sono stati completamente ignorati. Pensiamo ad esempio al lockdown, quando l’applicazione dell’isolamento domiciliare e delle norme di distanziamento sociale non hanno aperto neanche una piccola breccia di ragionamento sulle persone che, materialmente, non potevano rispettare queste norme- senza fissa dimora, detenuti, donne vittime di violenza, ecc.

Queste persone sono state ignorate, così come le condizioni in cui sono costretti i migranti lungo la Rotta Balcanica. Condizioni disumane e come tali anche pericolose dal punto di vista sanitario. Le norme di distanziamento sociale, unico strumento attuato per ridurre il numero dei contagi, lungo la Rotta sono un miraggio perché la priorità è sopravvivere: alle violenze della polizia e dei gruppi neofascisti, alle condizioni estreme di povertà,…

Si poteva quindi credere davvero che non ci fossero casi di Covid19 fra i migranti? La risposta, semplice e banale , è NO.

La domanda reale che ci dobbiamo porre è se è stato fatto qualcosa per tutelare loro e la collettività. E la risposta è ancora una volta NO perché sono le nostre stesse politiche razziste e discriminatorie ad favorire la diffusione dei contagi.

Qual è la logica di salute pubblica per cui si fanno i tamponi in ingresso ai turisti in rientro dai paesi a rischio (es. Croazia) ma non ai migranti? Qual è il fondamento di mettere i migranti in quarantena in grandi strutture sovraffollate, dove si concentrano decine se non centinaia di persone, ovvero quanto di peggiore possa esistere per il mantenimento di condizioni sanitarie – e umane – atte a prevenire la diffusione del contagio?

Non vi è infatti nessuna logica sanitaria, piuttosto appare chiara quella di alimentare l’immagine del migrante untore finalizzata a giustificare l’ ulteriore inasprimento delle politiche di respingimento illegali che sta avvenendo sul nostro territorio. Respingimenti che riespongono i migranti alle documentate violenze e violazioni dei diritti umani fondamentali della Rotta Balcanica.

In questi mesi con la nostra attività in strada, abbiamo cercato di riempire questo vuoto prestando la massima attenzione alla nostra sicurezza e a quella di chi assistiamo: distribuiamo mascherine, monitoriamo temperature, cerchiamo di educare alle norme igieniche. Abbiamo più volte denunciato, pubblicamente e alle autorità competenti, questo vuoto.

Infatti, a luglio, abbiamo contattato il Dipartimento di Prevenzione di Trieste sottolineando la mancanza di protocolli sanitari condivisi e ragionati all’interno delle strutture per la quarantena dei minori stranieri non accompagnati, nelle quali ci recavamo perchè l’assistenza medica di base non è altrimenti garantita. Abbiamo posto il problema dei tamponi effettuati solo in uscita dalla quarantena e non all’ingresso per una più precoce identificazione e gestione dei casi positivi. Abbiamo anche chiesto supporto per quanto riguarda linee guida procedurali nel complesso setting di strada.

Silenzio assoluto.

La loro negligenza, unita alla volontà di strumentalizzare la professione medica con l’esplicito fine di riammettere illegalmente le persone migranti in Slovenia, mette in dubbio che le autorità competenti siano orientate alla tutela della salute e della dignità umana (ne abbiamo già parlato qui ).

Non vi è tutela della salute della comunità se non vi è tutela della salute di chiunque sia presente sul territorio.

Chiediamo che la presenza di casi positivi fra le persone migranti non venga strumentalizzata a scopo politico, né distorta dai mezzi di informazione, ma sia il motore di una riflessione sulla gestione di un problema complesso e di sicuro non risolvibile urlando “A casa loro!

Chiediamo alla politica e alla sanità locali e nazionali serietà, competenza, rispetto. Lo chiediamo adesso e continueremo a farlo, ad essere presenti là dove c’è un vuoto, a testimoniare per chi non ha voce.

Strada SiCura