Beatrice, attivista di La Strada Si.Cura ci aggiorna sulla situazione a Trieste e sul confine italo-sloveno.
L’intervista è stata realizzata da Eleonora Sodini, redazione di Radio Melting pot.
Da diverso tempo ormai con l’associazione Linea D’ombra nel piazzale della stazione di Trieste fornite supporto e cura alle persone in transito che arrivano dalla Slovenia.
Puoi farci una panoramica sulla vostra attività e sul contesto in cui vi trovate ad operare negli ultimi mesi, non solo in termini di numeri di arrivi ma soprattutto sulle condizioni socio-sanitarie in cui trovate le persone in transito?
Quali sono le nazionalità di provenienza delle persone di cui vi prendete cura?
Per rispondere alla tua prima domanda, è importante sottolineare come un grande cambiamento si è verificato a Trieste intorno alla data del 17 maggio, una data che si può definire uno spartiacque. Infatti, in Italia il lock-down si apprestava a finire mentre a Trieste venivano prese, proprio in quei giorni, delle decisioni che hanno contribuito a minare ancora di più i diritti dei migranti.
Prima di tutto è stato chiuso l’Help Centre, un ufficio di riferimento collocato proprio in stazione centrale che durante il lock-down è stato fondamentale per la coordinazione e l’assegnazione dei posti letto nei vari dormitori. L’Help Center inoltre, su base rotazionale, garantiva almeno un posto letto e un bagno a tutti. Il centro è stato chiuso insieme a molti altri dormitori e rifugi e, da quel momento lì, l’accesso a queste strutture avviene previo inserimento di una lista programmata comunale in cui non sono previsti i migranti in transito.
Questo genera una discriminazione, perché il migrante in transito non ha accesso a un bagno, a un letto o a un tetto sopra la testa. Va da sé che si assiste a un generale peggioramento delle condizioni sociali e sanitarie, che aumentano il fenomeno della marginalizzazione e del degrado. Questo non può che impattare su quella che è la salute fisica, mentale e globale dell’individuo. Ricordiamo anche che dal 17 maggio in poi sono aumentati non solo i controlli al confine ma anche i respingimenti come metodo di contenimento degli arrivi. Respingimenti che sono stati dichiarati illegali da più associazioni internazionali e locali.
Un’altra cosa che si è verificata dopo il 17 maggio, in estate inoltrata, è stato l’aumento di casi di coronavirus nei Balcani. Ovviamente, essendo paesi battuti molto dai migranti che arrivavano sul territorio di Trieste, questo fatto ha causato un aumento del rischio di contagio di coronavirus. Dunque, sarebbe stata opportuna una programmazione sanitaria, in termini di salute pubblica, per la prevenzione del Covid in strada e nei centri di accoglienza. Sebbene ci fosse la necessità di una presa in carico dell’azienda sanitaria che tutelasse le fasce più deboli della popolazione, la reazione di questa è stata pressoché nulla e di fatto gli interventi istituzionali in strada e nella piazza dove operiamo sono stati (e lo sono tutt’ora) totalmente assenti. Purtroppo, dobbiamo ricordare che per quanto vi sia una esplicita volontà politica di rendere invisibile il migrante e di discriminarlo, questo è per forza interdipendente con il resto della comunità, per cui se vogliamo tutelare la comunità dobbiamo tutelare il singolo, ogni singolo, senza discriminazioni.
Per quanto riguarda invece il numero degli arrivi, questo è imprevedibile. Noi lo definiamo un andamento “a fisarmonica”: spesso gli arrivi sono stati dirottati su altre brecce di confine più distanti (tipo Udine); a volte arrivano 30-40 persone in un giorno, a volte 3-4. Abbiamo assistito all’arrivo di interi nuclei familiari con bambini. Le nazionalità principali sono Afghanistan, Pakistan, ma anche nord-Africa, Iraq e Siria. Sul nostro sito potete trovare un quadro delle nazionalità incontrate, in tutto abbiamo curato persone provenienti da almeno 19 nazionalità.
Il ministro dell’Interno Lamorgese era a Trieste l’8 settembre e ha detto che “Per controllare meglio la situazione, invieremo più militari. In questo momento ci sono 375 agenti dell’operazione Strade Sicure, ma ne invieremo un po’ di più sul lato di Udine”.
In questa occasione il ministro ha risposto alle domande di un giornalista dicendo che la “riammissione informale” è illegale verso coloro che chiedono asilo, mentre a luglio la stessa ministra aveva affermato pubblicamente che tali pratiche sono perfettamente legali anche per i richiedenti asilo. Secondo ASGI, si tratta di una contraddizione che evidenzia che quanto sta accadendo negli ultimi mesi nell’area triestina è totalmente contrario al diritto internazionale. Allo stesso tempo, questo atteggiamento sempre più securitario è perfettamente in linea con l’accordo bilaterale Italia-Slovenia sottoscritto nel ‘96 che di fatto legittima questi respingimenti illegali attraverso gli accordi di cooperazione di polizia fra i due stati, che permettono l’effettività della riammissione grazie a pattuglie bilaterali sempre più finanziate nei confini interni.
In quanto medici che vivono la frontiera ogni giorno, come avvertite la presenza poliziesca sul territorio triestino e in generale del FVG? si sono effettivamente intensificati i controlli al confine e quale atteggiamento istituzionale potete rilevare in queste zone?
Purtroppo, per rispondere a questa domanda dobbiamo confermare che i controlli al confine sono aumentati in maniera consistente dopo la fine del lock-down e, in estate inoltrata, sono andati a sovrapporsi due problemi: gli arrivi e l’aumento dei casi positivi al virus sulla rotta balcanica. Tutto ciò ha portato ad un aumento del controllo al confine e una recrudescenza dell’approccio verso i migranti, che a sua volta si è esplicitato con l’inizio dei respingimenti (o pushback). Si tratta di un fenomeno che è stato più volte condannato da associazioni internazionali e locali come un atto che mina i diritti umani e la salute fisica e psicologica dei migranti. Infatti, sulla rotta balcanica la maggior parte delle persone in transito subisce torture e violenze (testimoniato da diversi reportage tra cui quelli di BVMN).
I respingimenti hanno iniziato a verificarsi sul nostro territorio in maniera sistematica e l’effetto è stato quello di rendere ancora più rischioso l’attraversamento del confine. Il migrante viene spinto nuovamente nel cosiddetto “game” della rotta balcanica ed esposto nuovamente alle violenze e torture.
Un altro dato inquietante è che questi respingimenti, pur essendo illegali secondo il Diritto Internazionale, vengono fatti alla luce del sole con il benestare del ministro dell’interno Larmogese prendendo in causa accordi bilaterali della fine degli anni Novanta e quindi rendendolo di fatto un sistema accettato e “para-legale”. Questo dimostra enormi contraddizioni, come hanno sottolineato anche associazioni come MSF e UNHCR che sono passate per il territorio ai fini di produrre dei reportage e raccogliere testimonianze.
Questi respingimenti sono negati in parte da alcuni esponenti, mentre altri li confermano (operatori sul campo ma anche agenti interni alla Prefettura). Questo dimostra un grande caos e una mancanza di trasparenza nei confronti delle operazioni che si svolgono sul confine. Proprio questa mattina (6 ottobre) escono le notizie sulle bozze di modifica dei decreti sicurezza di Salvini. Leggiamo con qualche speranza che si parlerà anche di nuove disposizioni in materia di respingimenti, noi ovviamente siamo speranzosi ma anche molto scettici, per cui staremo a vedere. Il nostro obiettivo rimane continuare a dar voce a queste illegalità e mancanza di rispetto della dignità degli individui, delle violazioni dei diritti umani e finché operiamo sul territorio testimonieremo e denunceremo queste violenze.
E’ notizia di fine luglio che le istituzioni sanitarie del comune di Trieste sono alla ricerca di figure mediche da inserire presso le Frontiere per accertare l’idoneità sanitaria degli individui migranti al fine di una loro riammissione verso la Slovenia. Voi avete risposto sul vostro sito a tali disposizioni con un comunicato in cui scrivete che “è inaccettabile che venga strumentalizzata l’attività medica come sostegno a tale pratica sia da un punto di vista deontologico-professionale sia per quanto concerne il rispetto dei diritti umani fondamentali”.
Si può dire che questa costruzione della narrazione di migranti “untori” sono funzionali a una sanità pubblica che non è stata mai in grado di gestire la pandemia in atto, prima e dopo il lockdown?
Come vi accennavo prima, a luglio c’è stata un’impennata dei casi di Covid-19 sui Balcani e questo fatto, epidemiologicamente parlando, ha impattato sulla rotta, sui migranti e sul nostro territorio, snodo cruciale di arrivo e di transito.
Come sanitari, abbiamo elaborato delle riflessioni per quanto riguardava la prevenzione e il contenimento della diffusione e abbiamo cercato, parallelamente, di chiedere un tavolo di confronto con l’Azienda Sanitaria, ai fini creare dei protocolli e dei progetti sanitari per il controllo del Covid e per la tutela socio-sanitaria in generale, sia nel contesto della strada ma anche per i minori stranieri non accompagnati all’interno di strutture in cui noi abbiamo operato fino ad agosto.
Di fatto, quello che noi chiedevamo erano dei tamponi in ingresso per i ragazzi, tamponi seriati per il personale e dispositivi di protezione individuale per noi medici, oltre a una strutturazione di un progetto di contenimento del Covid-19 fra la popolazione più vulnerabile dei migranti, sia minori sia in transito. La risposta dell’azienda sanitaria è stata pressoché nulla, non c’è stata la possibilità di mettersi a un tavolo e discutere di questi argomenti, né una volontà di produrre una linea guida o un protocollo di gestione, minimamente nelle strutture e tanto meno in strada.
La cooperazione fra il territorio e l’ambito centrale ospedaliero sarebbe cruciale, ma questo non avviene e anzi la risposta dell’azienda sanitaria è stata pubblicare ad agosto un bando per la ricerca di figure mediche atte a valutare le buone condizioni di salute del migrante ai fini di poter eseguire il respingimento.
Stiamo quindi parlando di assunzione di medici con il solo compito di respingere le persone. Questa cosa va contro il codice deontologico-professionale ed è di una gravità inammissibile per un paese civile e democratico come il nostro. Purtroppo, questi medici sono stati assunti e attualmente lavorano al confine. Questo dimostra che la salute viene manipolata e sfruttata per fini politici e che gli (inesistenti) interventi di salute seguono precise volontà politiche anti-migranti. A ciò abbiamo risposto con dei comunicati, abbiamo tentato inutilmente di riprendere il dialogo con l’azienda. Assistiamo non solo a un bando illegale in termini di codice deontologico, ma anche a un attuale e costante problema di salute pubblica che non viene affrontato da chi di dovere, oltre che a una gestione sommaria e improvvisata del coronavirus all’interno di questa comunità fragile e vulnerabile quale quella dei migranti, spesso ammassati in centri di quarantena o presenti in strada senza accesso a servizio igienico.
Prove ulteriori della discriminazione sanitaria sono spiacevoli episodi accaduti in piazza, quando, per esempio, allertato il 118, è arrivato un equipaggio che dichiarava necessario denunciare il paziente prima di essere curato. Ricordiamo che vige il divieto di denuncia da parte del personale sanitario nei confronti del migrante in transito non ancora dichiarato con un permesso di soggiorno. E’ anche successo che, alla richiesta di invio di un mezzo di soccorso, piuttosto che inviare un’ambulanza, siano state mandate le forze dell’ordine.
Speriamo in un futuro che le cose migliorino, nel frattempo noi siamo sempre qui per testimoniare e tutelare le condizioni di salute dei migranti, per loro ma di fatto anche per l’intera comunità.