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Donne e salute in tempi di pandemia Qualche riflessione

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Donne e salute in tempi di pandemia Qualche riflessione

Pubblichiamo il testo di Donne in nero di Udine


L’emergenza pandemica che ha travolto il nostro paese tra il 2020 e il 2021 ha messo a nudo tutte le fragilità del sistema sanitario nazionale. Un sistema affossato negli ultimi decenni da politiche aziendalistiche, da un forte ridimensionamento dei servizi erogati e dalla riforma del titolo V° della Costituzione che ha demandato alle singole regioni la gestione della salute pubblica. Principi cardine quali la prevenzione ed una capillare diffusione della medicina territoriale vicina ai bisogni delle persone e delle comunità sono stati abbandonati, per favorire i grandi ospedali, i centri d’eccellenza e la sanità privata.

Sotto la pressione del Covid-19 sono emerse le profonde inadeguatezze nella gestione del sistema sanitario pubblico, a partire dall’assenza di un piano pandemico nazionale, piano che per anni è rimasto fermo al 2006 ed è stato aggiornato solo nel gennaio del 2021, dopo aspre polemiche e rimpalli di responsabilità. Le cittadine e i cittadini si sono dovuti confrontare, in modo drammatico, con le conseguenze dei tagli della spesa sanitaria operati dai diversi governi che negli anni si sono succeduti alla guida del paese: solo tra il 2007 e il 2017 sono stati chiusi in Italia 200 ospedali, si sono persi 70 mila posti letto ed il personale sanitario è diminuito di 46.000 unità, con la cancellazione di 8 mila medici e 13 mila infermieri. Anche i medici di famiglia sono diminuiti, con una perdita, in termini assoluti, di 3230 unità(1).

La situazione di emergenza ha reso estremamente difficile reperire professioniste/i sanitari che spesso sono stati assunti con contratti a tempo determinato, anche tramite agenzie interinali, con basse e inadeguate condizioni retributive. Tali circostanze hanno evidenziato la gravità delle scelte compiute dal sistema universitario italiano, con l’adozione del numero chiuso nelle facoltà di Medicina e di Scienze infermieristiche che ha fortemente limitato la possibilità di accedere alle professioni sanitarie. La carenza di operatori ha reso più evidenti le diseguaglianze nell’erogazione dei servizi nell’ambito dei venti sistemi sanitari regionali e ha contribuito al blocco o all’importante riduzione delle attività procrastinabili, con ripercussioni sulla salute di tutte e tutti.

Le donne costituiscono in Italia il 64,4% del personale impiegato nell’assistenza sanitaria(2) : sono state in prima fila nei reparti di terapia intensiva, nelle corsie ospedaliere, nei distretti sanitari, nelle case di riposo, svolgendo un fondamentale lavoro di cura, contribuendo alla tenuta dell’intero sistema sociale. Nella prima fase della pandemia, si sono ammalate molto di più dei colleghi maschi, anche se con un tasso di letalità più basso, e hanno sofferto ed ancora soffrono di stress post traumatico legato ai ritmi pressanti di lavoro, alla tensione costante correlata alla scarsa conoscenza del virus, alla paura del contagio per sé e per le persone vicine. Problematiche simili si sono registrate anche nell’ambito dell’assistenza sociale non residenziale, dove la presenza femminile arriva all’ 83,8% degli occupati e nelle attività lavorative presso le famiglie in cui raggiunge l’88,1%(3).

Ma per tutte le donne, attive in questi o in altri settori, la pandemia ha comportato un notevole aumento dei carichi di lavoro con rischi per la salute e difficoltà a conciliare le esigenze del contesto lavorativo e la sfera privata, prevalentemente occupata dall’accudimento dei figli e dai lavori domestici, in un pesante intreccio tra lavoro produttivo e riproduttivo.

Dall’indagine condotta da Elma Research per Fondazione Onda(4) su un campione di 609 donne tra i 25 e i 55 anni, il 76% delle donne ha rinunciato a screening preventivi e visite di controllo e il dato sale all’86% nelle donne con patologie croniche. Disturbi del sonno, astenia, tristezza, pensieri negativi e bassa autostima hanno colpito soprattutto le donne che si sono trovate a dover affrontare condizioni economiche in peggioramento rispetto al periodo antecedente la pandemia, cosa che ha portato il 61% a ricorrere a farmaci.

La diffusione del contagio e l’obbligo di rimanere chiuse nelle proprie case ha accentuato per moltissime donne situazioni di insicurezza, vulnerabilità, violenza psicologica e fisica subita da uomini maltrattanti all’interno dello spazio domestico, solitamente immaginato come sicuro e protetto, contrassegnato invece da relazioni pericolose con padri, mariti, compagni, partner. L’ISTAT ha recentemente pubblicato un rapporto in cui si sottolinea come nel corso del 2020 le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stolking, siano aumentate del 79,5% rispetto al 2019, raggiungendo picchi allarmanti ad aprile (+179,9%) e a maggio (+182,2%), con un incremento significativo di richieste d’aiuto provenienti anche da ragazze giovani e giovanissime, vittime di violenze messe in atto dai familiari più prossimi. Nei primi 5 mesi del 2020 sono state 20.525 le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza, denunciando abusi legati anche alla convivenza forzata5 , in un orizzonte nazionale in cui, nello stesso anno, sono stati commessi 91 femminicidi, 81 dei quali in un contesto familiare(6 ). Solo negli 87 giorni del più duro lockdown (9 marzo-3 giugno 2020), sono state uccise 44 donne: un femminicidio ogni due giorni! Sulla violenza contro le donne al tempo del Covid-19, il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Trieste, da anni attento alle trasformazioni della condizione femminile, sta completando una ricerca in collaborazione con i Centri Antiviolenza del Friuli Venezia Giulia aderenti all’associazione Donne in Rete (D.i.Re). Dall’indagine emerge come questi Centri, nonostante l’alta qualità del loro intervento, in Italia siano numericamente inferiori agli standard europei e di gran lunga sottofinanziati(7) .

Nel quadro generale della pandemia, anche la salute sessuale e riproduttiva delle donne è stata messa a rischio, vista la difficoltà di accedere ai servizi, di richiedere visite specialistiche, di dare seguito ai percorsi di cura già avviati. Se alcuni rapidi riscontri ci consentono di dire che l’Ospedale civile di Udine ha garantito la qualità e la continuità delle prestazioni nei reparti di Ginecologia e di Ostetricia, ci interroghiamo su quanto sia avvenuto in altre realtà della nostra Regione, soprattutto in riferimento all’applicazione della legge 194 del 1978 che garantisce alle donne l’accesso all’interruzione di gravidanza, già gravemente ostacolato dall’altissima presenza di medici obiettori.

In questi mesi di emergenza sanitaria e di generale difficoltà e incertezza del vivere, proprio sul terreno della libertà e autodeterminazione femminile abbiamo registrato preoccupanti prese di posizione di alcuni amministratori locali che, come è accaduto a Udine, hanno approvato in Consiglio comunale una mozione con la quale, nell’intento di contrastare il crescente calo demografico, si è inteso dare supporto finanziario “alle varie realtà associative che si occupano di sostegno e aiuto alla vita (in particolare al CAV, Centro di Aiuto alla Vita)”. Interventi, questi, che avvalorano l’operato di movimenti la cui finalità è quella di interferire nell’esistenza delle donne, di condizionare e indirizzare le loro scelte in ambito riproduttivo, ostacolando il loro possibile accesso all’interruzione di gravidanza.

Forti apprensioni destano anche alcune scelte amministrative messe in atto dalla Regione Friuli Venezia Giulia che minacciano di smantellare le esperienze di salute mentale di comunità realizzate nei decenni scorsi nel nostro territorio, con grave ricaduta sugli utenti, donne e uomini, inseriti, fino ad ora, in servizi pubblici nati con la riforma basagliana. [Si veda, a questo riguardo, l’appello di alcuni psichiatri ex direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale in FVG(8)]. Alla luce di queste riflessioni, ci interroghiamo sul tema di una salute ancora prevalentemente declinata al maschile ed affermiamo la necessità di una medicina di genere che tenga conto dell’esistenza della differenza sessuale, evidenziata in questa pandemia dalla diversa risposta data dalle donne alle vaccinazioni, con reazioni avverse più frequenti e spesso più gravi rispetto a quelle riscontrate negli uomini(9) . Donne e uomini sono in salute, si ammalano e rispondono alle terapie farmacologiche in modo diverso per ragioni biologiche, sociali ed economiche(10) .

Una consapevolezza, questa, finalmente assunta dalla Legge n. 3 del 2018 che, recependo le direttive europee, inserisce la medicina di genere nel sistema sanitario nazionale, con l’intento di diffondere tale approccio nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura, nella formazione e nella divulgazione agli operatori sanitari, ai cittadini e alle cittadine.

Ma, oltre le enunciazioni di un atto legislativo importante, rimaniamo in attesa delle sue concrete applicazioni.

(Scarica in formato .PDF Donne e salute in tempi di pandemia)

NOTE

  1. Calcoli elaborati dalla Ragioneria di Stato, in https://www.ilgiornale.it/news/politica/ecco-10-anni-tagli
  2. ISTAT, DossierDiseguaglianze nell’emergenza sanitaria, 2020, pag. 7, in https://www.istat.it. I dati riportati si riferiscono al 2019.
  3. Ibidem, pag. 7.
  4. Donne e Covid, lavoro in bilico e salute trascurata, in https://www.fortuneita.com
  5. Istat.it Donna, in https://www.istat.it
  6. Ibidem.
  7. Da un’intervista rilasciata da Patrizia Romito (Un. TS) a RAI Regione FVG e trasmessa il 12.06.2021, in https://www.rainews.it/tgr/fvg/video/2021/06vg-studio-universita-violenza-domestiche-f5f79d88-f930-46cd-8bf5-4b8e89025e3a.html
  8. https://www.change.org/p/presidente-regione-friuli-venezia-giulia-trieste-difendiamo-la-salute-mentale-di-comunita
  9. Istituto Superiore di Sanità, in https://www.iss.it/vaccini/-/asset_publisher/EqhqPGnWTDJo/content/differenze-digenere-in-risposta-alle-vaccinazioni
  10. Gender equality e salute in Europa, in https://www.fondazionebrodolini.it